Tempo, poca volontà e basse aspettative frenano la riabilitazione

Pubblichiamo l’articolo a firma del Dott. Egidio Recupero, Direttore sanitario del Csr di Catania e Viagrande, pubblicato sabato 28 marzo su “Mondo Medico”, inserto del quotidiano La Sicilia.

 

Egidio Recupero*

L’esercizio riduce la disabilità e migliora la qualità della vita. Molti sono i benefici in termini di neuroplasticità e di capacità del cervello di riorganizzarsi. 

Nei modelli animali si è dimostrato che l’esercizio ha benefici protettivi sull’esordio di malattie degenerative come il Parkinson. Questa evidenza clinica sembra essere dovuta al rilascio di fattori neurotrofici, e a una maggiore ossigenazione cerebrale, che promuovono una sopravvivenza cellulare e una rinnovata crescita. L’esercizio stimola la sintesi di dopamina nelle cellule dopaminergiche residue e pertanto riduce la sintesi di dopamina. I ricercatori suggeriscono cinque fattori correlati all’esercizio che intensificano la neuroplasticità: 1. l’attività intensiva; 2. le attività complesse che promuovono un maggiore adattamento strutturale; 3. le attività gratificanti che aumentano i livelli di dopamina, promuovendo l’apprendimento e il ri-apprendimento; 4. i neuroni rispondono sia all’esercizio sia all’inattività (“use it or lose it”); 5. in uno stadio precoce della malattia la progressione può essere rallentata. I livelli di attività fisica declinano con l’avanzare degli anni contribuendo al declino funzionale.
Le persone con patologia neurologica mostrano una maggiore riduzione dei livelli di attività fisica rispetto ai soggetti normali della stessa età, con diminuzione di forza e abilità funzionale. Sono documentati i benefici associati con le attività della vita quotidiana, velocità del cammino e lunghezza del passo; altri ricercatori hanno trovato un effetto positivo sui trasferimenti, equilibrio e abilità funzionale. I progressi nella gestione medica hanno condotto a una prolungata sopravvivenza, così la gestione della malattia e delle sequele correlate si protraggono negli anni.
La comprensione dei fattori che riducono una intensa partecipazione all’esercizio è cruciale per la comprensione dell’impatto potenziale che l’esercizio continuo può avere nel mitigare le disabilità croniche.
Si definiscono “motivators” i fattori che promuovono l’adesione, e “barriers” i fattori che la limitano. Tra i due, le barriere percepite per l’esercizio sono maggiormente predittive sul ruolo dell’esercizio, rispetto ai motivators percepiti. Le barriere ben documentate comprendono la perdita di interesse, precarie condizioni di salute, debolezza muscolare, paura di cadere, dolore, condizioni climatiche avverse, scarsa disponibilità di tempo, accesso limitato ai servizi di riabilitazione. La partecipazione alla regolare attività fisica diminuisce con l’aumentare dell’età, e le donne partecipano in misura minore rispetto agli uomini over 65.
I giovani adulti riferiscono più comunemente la ridotta disponibilità di tempo come principale barriera percepita alla attività fisica regolare, gli adulti invece accusano più frequentemente una salute cagionevole. Tra i pazienti che abbandonano precocemente il trattamento si osserva una maggiore precarietà della condizione fisica percepita, una performance fisica più scadente, e un maggiore carico di malattia, in particolare problemi muscolo-scheletrici. Il 50% di persone con stroke unilaterale fa registrare le seguenti barriere percepite: mancata consapevolezza di una struttura di riabilitazione vicina la propria abitazione, difficoltà di trasporto, scarsa conoscenza di come e dove potere praticare l’esercizio. In uno studio di 93 soggetti con la sclerosi multipla la principale barriera alla partecipazione è stata la fatica. I pazienti epilettici facevano rilevare le seguenti barriere percepite: carenza di motivazione, problemi di sicurezza personale, tempo insufficiente, mancanza di partner nell’esercizio, dolore eccessivo, difficoltà di trasporto, effetti collaterali dei farmaci, paura dell’insorgenza di crisi epilettiche, accesso limitato alle strutture di riabilitazione.
Le conoscenze sulle barriere sono limitate, alcune possono essere comuni alle persone sane e a quelle con patologia neurologica, alcune possono essere più rilevanti di altre. Considerata la natura progressiva di alcune malattie e i declini associati della abilità fisica, i pazienti non hanno aspettative di beneficio dall’esercizio. Inoltre se l’esercizio non viene raccomandato di routine in una fase precoce della malattia, si limita ulteriormente la percezione del valore dell’esercizio nel migliorare la prognosi. Un ulteriore limite alla motivazione e alle aspettative è rappresentato dalla mancanza di un approccio centrato sulla persona nella prescrizione dell’esercizio.
Tuttavia, le barriere percepite all’esercizio sono potenzialmente modificabili, e ciò deve essere considerate dal team riabilitativo. La barriera di maggiore rilievo identificata è la bassa aspettativa sull’esito del trattamento; può succedere che il paziente mostri una carente percezione del beneficio oppure che non la percepisca affatto, allora si evidenzia una manifesta barriera nell’impegno in una regolare attività fisica: questi pazienti vengono definiti “non exercisers”.
Una parte dei pazienti ritiene invece che l’attività fisica promuova un migliore stato di salute, pertanto sono definiti “exercisers”. Essi partecipano attivamente ai programmi riabilitativi, cosa che stimola la educazione dei pazienti sui benefici correlati alla riabilitazione perchè in grado di modificare le aspettative sull’esito. La seconda barriera percepita è il poco tempo disponibile a causa di impegni professionali o sociali, o modifica delle caratteristiche cognitive associate alla malattia, o difficoltà nella pianificazione delle attività della vita quotidiana.
La terza barriera percepita è la paura di cadere, i pazienti neurologici hanno maggiore paura di cadere rispetto ai sani di pari età. Esistono possibilità di modifica delle barriere descritte mediante strategie cognitive e comportamentali, proposte di attività secondo un ordine di precedenza, inserimento dell’esercizio come parte delle attività di routine della giornata, assistenza del caregiver per rinforzare queste strategie. Si possono integrare interventi educativi mediante autovalutazione del rischio reale di caduta, della sicurezza dei fattori ambientali, addestramento ad affrontare le situazioni di rischio per cercare assistenza quando il paziente è timoroso, promuovere la fisioterapia.
Di grande utilità anche l’addestramento al tapis roulant con impiego di programmi a velocità progressiva, stimolare una mobilità di successo nelle attività quotidiane perché può creare fiducia e ridurre la paura di cadere, infine aumentare l’abilità del paziente a praticare la terapia con successo anche in presenza di barriere. In definitiva l’ approccio deve essere centrato sul paziente, il lavoro fondato sull’attività del team in partnership con i pazienti, e facilitare la comprensione degli obiettivi e degli esiti desiderati. Ulteriori studi sono necessari per meglio comprendere i target dell’intervento, identificare strategie di intervento più efficaci, ridurre le barriere all’esercizio, facilitare le modifiche del comportamento durante l’esercizio.

*specialista in Neurologia e Direttore sanitario CSR Catania e Viagrande

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